Aborto: la situazione in Europa e quella retromarcia polacca che preoccupa

Aborto: la situazione in Europa e quella retromarcia polacca che preoccupa
25 Maggio 2020 accademia

Nell’epoca del Coronavirus, in un Paese, l’Italia, già problematico per l’alto numero di obiettori di coscienza, scopriamo che a rimetterci è anche la salute riproduttiva delle donne. Con gli ospedali affollati per la pandemia, il personale e le attrezzature che scarseggiano, infatti, anche nel bel Paese l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza diventa complicato.

La riorganizzazione degli ospedali, spesso non comunicata in modo chiaro e tempestivo, ha come risultato l’assenza di un servizio che nei LEA, i livelli essenziali di esistenza, risulta dover essere sempre garantito dal Servizio Sanitario Nazionale. Si ripiega, quindi, su iniziative di singoli ospedali che cercano di dar risposta a questa necessità tendendo l’occhio ad altri stati europei in cui la situazione è di gran lunga più serena.

In quasi tutto il Vecchio Continente, infatti, l’IVG è consentita senza restrizioni e, in stati come la Francia, viene garantito anche durante la pandemia mediante il ricorso alla telemedicina o all’aborto farmacologico.

Nell’Unione Europea sono cinque i Paesi con una legislazione fortemente restrittiva riguardo all’aborto, mentre la maggior parte degli Stati lo consente con la sola limitazione dello stato di gravidanza in termini di tempistiche o l’autorizzazione dei genitori o tutori legali in caso di gestanti minorenni. Fra questi, troviamo appunto l’Italia, così come Germania, Belgio, Spagna, Croazia, Danimarca e altri. In Finlandia, invece, l’IVG è legale in caso di malformazione del feto, stupro, per preservare la salute fisica e mentale della madre o a causa della sua condizione socioeconomica. Le motivazioni per cui l’aborto è legale si riducono a tre, ovvero pericolo di vita per la gestante, stupro o malformazione del feto, in Polonia e a Cipro. Le legislazioni più restrittive, invece, si registrano in Irlanda, in cui dal 2013 l’aborto è legale solo in caso di pericolo di vita della madre, e a Malta, dove è completamente illegale, senza eccezioni.

L’attuale emergenza sanitaria, però, rischia di modificare, in peggio, questa situazione. Sia in Italia che in altri Paesi, infatti, i movimenti pro-life, generalmente legati a correnti di estrema destra e ultraconservatori, mirano alla sospensione dell’aborto negli ospedali, in quanto operazione chirurgica non indispensabile. Ciò che sta succedendo in Polonia, tuttavia, preoccupa e non poco, perché il passo verso un inasprimento della legge sull’aborto sembra essere davvero molto corto.

Bisogna, a questo punto, fare un passo indietro e inquadrare cosa è successo in questo Paese negli ultimi anni. Già dotata di una delle leggi più severe in Europa, approvata nel 1993, la Polonia ha visto negli anni scorsi diversi tentativi di modifica, in senso restrittivo, della normativa sull’aborto.

È il 2016 quando, con Andrzej Duda presidente e Jarosław Kaczyński a capo del PiS (Diritto e Giustizia), partito di maggioranza di destra di ispirazione conservatrice clericale, che arriva un disegno di legge per limitare i casi in cui l’aborto è concesso, portando a grandi proteste in tutto il Paese. In quella occasione, infatti, la proposta viene totalmente bloccata dalle cosiddette “proteste in nero” (Czarny Protest), condotte da donne polacche vestite, appunto, di nero e sostenute da organizzazioni di tutto il mondo.

Protesta della donne per il diritto all’aborto, Varsavia, Polonia, ottobre 2017 AP Photo/Alik Keplicz

Due anni dopo, il disegno di legge, “Stop aborto”, viene ripresentato in forma meno severa, con l’obiettivo di renderlo illegale anche in caso di gravi anomalie fetali. Se si considera la percentuale di aborti che adducono questa motivazione, il 98%, risulta chiaro che le restrizioni diventano praticamente tout court. Da quel momento, tuttavia, la proposta è stata bloccata in parlamento, con l’obbligo di revisione che scade proprio in questi giorni.

È così che si arriva agli accadimenti delle ultime settimane: mercoledì 15 aprile il Parlamento si trova a discutere nuovamente della proposta di legge, unitamente a un altro disegno di legge, “Stop pedofilia”, che ha come obiettivo di criminalizzare l’educazione sessuale per giovani e adolescenti. Quest’ultima proposta è stata approvata in prima lettura nell’ottobre 2019, rimanendo bloccata in Parlamento fino ad oggi, quando è stata nuovamente posta in discussione. Entrambe le proposte hanno ricevuto il sostegno di diversi gruppi religiosi cattolici vicini al governo. La Chiesa polacca, infatti, è una delle più conservatrici al mondo e svolge un ruolo decisivo nel plasmare l’identità nazionale, tanto che il PiS, partito di maggioranza, usa la propria alleanza con la chiesa, condividendo moltissimi temi, per legittimare il proprio potere.

Bisogna, però, considerare il momento storico in cui tutto ciò sta accadendo. Come molti Paesi, anche la Polonia ha attuato le misure per contenere la diffusione della pandemia, tra cui il divieto di assembramento, che rende di fatto perseguibili le manifestazioni di piazza.

Klementyna Suchanow, tra le organizzatrici della protesta del 2016, ritiene non casuale la tempistica con cui la proposta di legge è tornata alla luce in Parlamento, accusando il governo di sfruttare il lock down per promuovere il disegno di legge. Non è l’unica a pensarlo: lo fa anche Irene Donadio, dell’International Planned Parenthood Federation European Network, e Piotr Buras, direttore del Consiglio europeo per le relazioni estere a Varsavia, convinto che l’emergenza Coronavirus offra «un’opportunità unica ai sostenitori di questa legge per farla passare».

Le organizzazioni femministe stimano che, in condizioni normali, le donne polacche che ogni anno sono costrette a ricorrere all’aborto clandestino o ad andare all’estero siano tra le 100mila e le 200mila. In questo particolare momento, però, le donne che vorrebbero ricorrere a questo diritto non trovano vita facile, come afferma Natalia Broniarczyk, dell’organizzazione Abortion Dream Team, secondo cui il numero di richieste di assistenza è stato il doppio, nel periodo di blocco, rispetto al periodo precedente. La proposta polacca, inoltre, arriva in mezzo alle preoccupazioni globali sull’accesso all’aborto durante la pandemia di coronavirus, come detto in precedenza, tanto che Amnesty International ha invitato i governi di tutta Europa a facilitare l’accesso sicuro al servizio riducendo “gli onerosi requisiti amministrativi per accedervi”.

All’inizio del mese di aprile, il Presidente Duda aveva affermato che “uccidere bambini disabili è semplicemente un omicidio”, dicendosi disponibile a firmare la legge se fosse arrivata al suo tavolo. Come avvenuto nei tentativi precedenti, però, le donne polacche non si sono lasciate privare di un loro diritto senza protestare. Gruppi polacchi e internazionali per i diritti civili, infatti, hanno condannato la legge chiedendo al Parlamento di respingerla a priori.

Varsavia, 14 aprile 2020. Una donna manifesta in bicicletta. AP Photo/Czarek Sokolowski

 

Draginja Nadażdin, direttrice di Amnesty International Polonia, ritiene vergognoso che i deputati non abbiano rigettato del tutto questa proposta retrograda, ma il voto parlamentare dimostra che lo strumento della protesta ha ancora potere, anche durante la pandemia di Covid-19. Nonostante il lock down, infatti, le donne polacche hanno manifestato la loro opposizione alla proposta, sia fisicamente che virtualmente. Decine di donne, quindi, munite di mascherine e nel pieno rispetto delle regole di distanziamento fisico, hanno protestato nel centro di Varsavia, esponendo manifesti con fulmini rossi, simbolo contro la proposta di legge, e resistendo alle intimidazioni, da parte della polizia, di multe per infrazione delle norme di blocco. Non solo, bandiere e striscioni ai balconi o sventolate da auto in corsa e biciclette, ma anche raduni attorno al Parlamento con in mano ombrelli neri, simbolo del movimento per l’aborto in Polonia, già in azione nelle proteste del 2016.

Le proteste, come detto, hanno coinvolto anche il web, trovando appoggio in migliaia di donne che hanno postato selfie e messaggi in opposizione alla proposta di legge. Il sostegno, inoltre, è arrivato da movimenti in difesa delle donne da tutta Europa, per quella che è la prima protesta (anche) di piazza al tempo del Covid-19.

Immagine pubblicata il 14 aprile da Amnesty EU in occasione della protesta virtuale. 

Il Parlamento, quindi, ha nuovamente rimandato in commissione per ulteriori approfondimenti la proposta, probabilmente in attesa di tempi migliori. Amnesty International in Polonia ha dichiarato, infatti, che “continueranno a seguire ogni mossa delle autorità per garantire che questi progetti di legge regressivi non procedano oltre, quando inevitabilmente riemergeranno”.

di Marina Rossini

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